Patto di non concorrenza: quando è valido e come aggirarlo

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L’art. 2125 del codice civile regola il patto di non concorrenza, si tratta i un accordo stipulato tra il datore di lavoro e il lavoratore per limitare l’attività di quest’ultimo successivamente al rapporto lavorativo. Durante la prestazione infatti il lavoratore potrebbe venire a conoscenza di determinate informazioni che potrebbero ledere l’attività del datore di lavoro.

Requisiti del patto di non concorrenza

Grazie all’obbligo di fedeltà del dipendente, questo non è un problema durante la prestazione dell’attività lavorativa. In seguito alla cessazione della stessa, il datore può ritenere necessario limitare l’attività lavorativa e dunque la possibile concorrenza del prestatore di lavoro, a fronte delle informazioni acquisite, stringendo un accordo determinato. Tale accordo deve rispettare precisi requisiti imposti dalla legge affinché sia valido tra le parti, infatti comporta una limitazione non indifferente:

  • Il patto deve essere stipulato mediante un atto scritto;
  • La prestazione corrispettiva in capo al datore di lavoro deve essere congrua alla limitazione imposta al prestatore;
  • Il patto deve prevedere limiti di tempo, luogo e oggetto.

Patto di non concorrenza: quando non è valido

Per quanto riguarda la validità del patto di non concorrenza in relazione ai limiti oggettivi previsti, quest’ultimo non può avere una portata talmente ampia da limitare completamente l’attività lavorativa del prestatore di lavoro. Pertanto, non potrà estendersi all’intera attività lavorativa aziendale, in tal caso il patto sarà nullo. Si potrà limitare solo allo svolgimento delle specifiche mansioni che il dipendente svolgeva in azienda al fine di non privarlo completamente della sua attività professionale e lasciarlo per un determinato periodo senza guadagno.

Il patto di non concorrenza è ritenuto invalido anche se ricorrono limitazioni geografiche specifiche, infatti è nullo se impedisce all’ex dipendente di svolgere la propria attività in tutto il territorio europeo. Viene inoltre ritenuto illegittimo anche se prevede una limitazione geografica estesa a tutto il territorio nazionale. Nonostante posa essere sottoscritto unitamente al contratto di lavoro, il patto di non concorrenza è un contratto autonomo e come tale deve prevedere una specifica remunerazione, determinata o determinabile alla fine del rapporto lavorativo.

Ciò vuol dire che se il patto non prevede un congruo ristoro per il lavoratore, proporzionato al sacrificio richiesto, questo è nullo. Viene considerato ugualmente nullo se non viene prevista alcuna quantificazione monetaria dovuta a titolo di corrispettivo.

Quando decade un patto di non concorrenza

La giurisprudenza nel corso del tempo ha reso ancora più dettagliata la disciplina del patto di non concorrenza precisando i termini della legge. Nello specifico, è stato confermato che il patto di non concorrenza può essere sottoscritto sia al momento dell’assunzione del dipendente che in costanza di rapporto o alla cessazione dello stesso.

Il patto di non concorrenza però sarà nullo se non prevede un corrispettivo, se il corrispettivo previsto non è adeguato o, da ultimo se la remunerazione prevista viene versata prima della cessazione del contratto di lavoro ovvero in costanza di rapporto. La legge ha previsto anche una durata massima per la validità del patto di non concorrenza per evitare che possa essere eccessivamente gravoso per il sottoscrittore. Nello specifico sono:

  • 5 anni per i dipendenti che svolgevano la mansione di dirigente;
  • 3 anni in tutti gli altri casi.

Il patto di non concorrenza sottoscritto dalle parti con termine di durata maggiore, non è nullo ma viene ridotto alla durata massima prevista dalla normativa.

Come aggirare il patto di non concorrenza

L’istituto giuridico del patto di non concorrenza è stato creato per consentire al datore di lavoro di proteggere i suoi interessi pecuniari. Al tempo stesso, però, è stata prevista una normativa stringente per evitare che il lavoratore non possa trovare un’altra fonte reddituale. Pertanto, per aggirare il patto di non concorrenza è importante leggere bene i limiti imposti dalla legge e verificarne il rispetto.

In primis, se non vi è alcun atto scritto da cui si possa desumere la volontà di sottoscrivere un patto di non concorrenza, vuol dire che questo non esiste e non vi è alcun impedimento a svolgere la propria mansione in altro azienda o in proprio. La legge prevede una durata massima di validità del patto di non concorrenza, quindi se nulla è previsto nell’atto, allo scadere di 5 anni per i dirigenti o 3 per gli altri, si potrà tranquillamente riprendere la propria attività lavorativa.

Dal punto di vista della retribuzione, il patto di non concorrenza deve prevedere una somma determinata, in caso contrario sarà nulla. Inoltre, tale retribuzione dovrà essere versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, una tantum o in toto. Quindi potrà essere aggirato il patto di non concorrenza qualora ci sono delle discrepanze sul pagamento o nulla viene previsto per la remunerazione.

Infine, la legge prevede anche dei limiti geografici, oltre i quali il patto può essere nullo e quindi aggirabile. In ogni caso può essere prevista la limitazione in una città o regione determinata, sarà così possibile svolgere la stessa attività lavorativa altrove per il periodo previsto nell’accordo.

Penali da pagare se non si rispetta il patto di non concorrenza

Qualora non vengano rispettati i limiti imposti nel patto di non concorrenza, il datore di lavoro potrà agire in giudizio chiedendo la cessazione dell’attività in violazione del patto. A tal fine verrà immediatamente richiesta la restituzione di quanto ottenuto in virtù dell’accordo e il risarcimento dei danni causati dall’attività esercitata dal lavoratore.

Dato che proprio la quantificazione dei danni è di difficile determinazione, si usa inserire nel patto di non concorrenza una penale. Quest’ultima in genere è proporzionata al sacrificio richiesto al lavoratore o in generale al vincolo oggetto del contratto di non concorrenza che le patti sottoscrivono.

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